Angelo Froglia, l’uomo che ha ingannato il mondo dell’arte con la “beffa di Modigliani”

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Angelo Froglia, l’uomo che ha ingannato il mondo dell’arte con la “beffa di Modigliani”

Sebastian Bendinelli

Nel 1984, Angelo Froglia ha fatto ritrovare delle finte sculture di Modigliani e il mondo dell’arte è impazzito. Un nuovo documentario racconta la sua storia.

E l’abbiamo fatto perché è una doppia rivincita. Nei confronti dell’artista, che difende uno status di eccezionalità che non capiamo e a cui crediamo non abbia diritto, e nei confronti di chi ne avvalora l’opera e la riconosce come tale dall’alto di una supposta autorità o perché la capisce. Cosa a cui nessuno crede mai davvero, anche perché spesso non c’è proprio niente da capire.

Nel 1984, Angelo Froglia—un artista 29enne con una storia travagliata alle spalle che, per mantenersi, lavorava come portuale—ha provato a prendersi una rivincita del genere. In quel periodo nella sua città, Livorno, si stava per celebrare il centenario della nascita di Modigliani e il comune aveva deciso di scandagliare il “fosso reale” (un canale che attraversa il centro cittadino) alla ricerca delle “teste di Modigliani”—alcune sculture perdute che secondo una leggenda locale l’artista avrebbe gettato nel canale nel 1909.

È così che era nata la vicenda passata alla storia come la “beffa di Livorno” o “beffa di Modigliani.” Froglia aveva scolpito due grosse pietre a imitazione delle “teste di Modigliani” e le aveva gettate nel canale; qualche giorno dopo, dal fango del canale, erano venute fuori non due ma ben tre sculture che i maggiori critici d’arte italiani si erano subito affrettati a riconoscere come autentiche. Erano state esposte nella mostra di Livorno dedicata al centenario dell’artista, prima che si scoprisse che in realtà erano false.

La beffa non si era conclusa molto bene per Froglia. Gli autori della terza scultura erano alcuni studenti di Livorno che, per fare uno scherzo, avevano avuto la sua stessa idea: erano usciti allo scoperto per primi e avevano attirato su di loro tutta l’attenzione mediatica, con tanto di speciale del Tg1 in cui erano stati invitati a replicare la scultura in diretta, alla presenza di un notaio, per dimostrare di non essere dei mitomani. Froglia invece si era fatto avanti circa un mese dopo, soltanto per essere subito screditato dalla stampa.

In parte lo era stato a causa della sua storia personale, fatta di tossicodipendenza e di una condanna a tre anni dopo le sue azioni nella lotta armata tra le fila di Azione Rivoluzionaria, in parte perché il suo gesto non era uno scherzo. “Il mio intento era quello di evidenziare come attraverso un processo di persuasione collettiva, attraverso la Rai, i giornali, le chiacchiere tra persone, si potevano condizionare le condizioni della gente,” avrebbe dichiarato più tardi in un’intervista. “Non mi interessava fare una burla.” Per tutte queste ragioni, oggi il suo ruolo in questa vicenda viene ricordato solo raramente.

Angelo Froglia è morto esattamente 20 anni fa. Nel frattempo, la storia delle false teste di Modigliani è diventata iconica. Pare che a un certo punto Sgarbi abbia voluto comprarsele e una copia è stata ritrovata a casa di Craxi ad Hammamet. Qualche anno fa una delle teste originali scolpite da Froglia è finita su eBay al prezzo di un Modigliani vero.

Per ricordarlo e rendergli giustizia, qualche settimana fa è uscito un nuovo documentario, Angelo Froglia. L’inganno dell’arte, che per la prima volta vuole raccontare la sua storia e la complessità della sua figura. Ho parlato con Tommaso Magnano di Ramingo Produzioni, il regista del documentario, della storia di Froglia e del concetto di vero e falso nel mondo dell’arte.

VICE: Ciao Tommaso. Innanzitutto, come emerge bene dal documentario, Froglia non voleva produrre semplicemente dei “falsi.”
Tommaso Magnano: Esatto, aveva anche usato delle pietre che Modigliani non avrebbe mai potuto usare, per rendere più palese la loro inautenticità. C’era un pensiero dietro, doveva essere una sorta di performance. I tre ragazzi, senza saperlo, l’hanno bruciato. Lui avrebbe voluto uscire allo scoperto soltanto adesso, 30 anni dopo, mostrando il filmato che documenta la realizzazione delle due teste, con cui ha poi partecipato al Torino Film Festival del 1984. Se calcoli che dopo due mesi le teste erano in mostra al Museo Modigliani, erano già state riconosciute come vere, erano sul punto di girare altri musei tra i più importanti del mondo… Dopo 30 anni, andando in giro come se fossero autentiche, le teste avrebbe reso inutile tutto il contorno. Per la critica e per i media è stato molto più facile far passare quell’evento come una goliardia fatta da tre ragazzini piuttosto che l’azione meditata di un uomo che, pur essendo un tossicodipendente e un ex terrorista [ex membro dell’organizzazione di estrema sinistra Azione Rivoluzionaria, Froglia era stato incarcerato a seguito di un attentato incendiario alla sede Cisnal di Livorno], ci aveva preso.

Com’è nata quindi l’idea di fare un documentario su di lui?

Tutti i documentari biografici che ho fatto finora—sempre incentrati su personaggi bizzarri, al limite, come il mercenario Roberto Delle Fave—parlano del rapporto della nostra società con i mass media. In questo caso conoscevo la storia e mi interessava l’idea della beffa, che aveva a che fare con la riproducibilità dell’arte. Poi, guardando diversi vecchi documentari e servizi televisivi sul tema, ho notato che, anche se le teste ritrovate erano tre, si parlava sempre solo dei ragazzi che ne avevano fatta una mentre non si accennava che di sfuggita a questo Froglia, autore delle altre due. Così ho deciso di approfondire.

Mi sembra che il film cerchi di restituire a Froglia una dimensione artistica anche al di là della vicenda della beffa, che tra l’altro è avvenuta abbastanza tardi nella sua vita.
Esatto. La sua vita, per quanto breve, è stata molto intensa e ricca ed è stata uno dei motivi per cui all’epoca è stato praticamente messo a tacere: per via dei suoi trascorsi non era considerato degno di poter dire la sua. La breve notorietà che ha avuto l’ha fatto venire a galla ma Froglia aveva sempre fatto l’artista, non è che cercasse qualcos’altro. Ho voluto raccontare la sua vita perché è per la sua vita che è stato giudicato in quel momento.

angelo froglia inganno arte modigliani

Angelo Froglia nel 1984

Come hai fatto a mettere insieme il materiale per il documentario?
È stato complicato, anche perché persino a Livorno Froglia è poco conosciuto. Sono riuscito a mettermi in contatto con suo fratello, Massimo Froglia, che mi ha dato alcuni scritti di Angelo che vengono letti dalla voce fuori campo nel documentario. Per il resto, quasi tutte le immagini d’archivio, specie quelle in cui compare Froglia, erano legate alla vicenda della beffa e in quel periodo lui era in pessimo stato anche perché tutto il progetto gli era crollato addosso. C’è anche una sua intervista con Paolo Brosio trasmessa su Rete4.

Per me non è tanto importante vedere lui che parla, perché quello che ha fatto e scritto è molto più forte. Per questo ho anche inserito nel documentario il grosso della sua produzione pittorica.

Intorno alla storia delle beffa però c’è anche tutta una dimensione misteriosa: la morte improvvisa di Jeanne Modigliani, che aveva ricevuto la notizia dei falsi e voleva recarsi a Livorno; l’ipotesi che dietro il gesto di Froglia ci fosse in realtà un mandante occulto; la soffiata ricevuta dal critico d’arte Federico Zeri, il cui appello in televisione aveva spinto Froglia a uscire allo scoperto. Secondo te c’è una parte di verità che ancora non è venuta a galla?
Di sicuro, per quanto la vicenda sembrasse tutta un semplice scherzo, in gioco c’era molto di più. Tanto per cominciare, la portata economica delle opere—all’epoca del ritrovamento le teste valevano già 14 miliardi di lire ciascuna, senza contare il valore che avrebbero acquisito in seguito. È un discorso che per quanto riguarda Modigliani, che è considerato uno degli artisti più facili da falsificare, continua tutt’ora: per fare un esempio, qualche anno fa è stato arrestato come falsario addirittura il presidente degli Archives Modigliani, una delle massime autorità in materia. La storia della beffa è piena di personaggi il cui ruolo dev’essere ancora chiarito del tutto e di certo andrebbe approfondita ulteriormente. Ma di base, se anche Froglia avesse agito su commissione, il suo scopo sarebbe rimasto lo stesso.

Insomma, la storia di Froglia è ancora attuale.
Molto. A me è piaciuto anche raccontare il contesto sociale in cui Froglia ha vissuto: la provincia profonda, Livorno, un posto dove, per dire, il ’68 è arrivato nel ’72. È un elemento in più per far capire quanto fosse visionario. E poi c’è stata la coincidenza dei falsi Modigliani in una mostra in corso a Genova, a Palazzo Ducale, denunciati pochi giorni fa dal critico d’arte Carlo Pepi. Pepi è uno dei personaggi intervistati nel documentario, che è stato proiettato proprio nell’ambito della mostra in questione. Man mano che il tempo passa e la tecnologia evolve il problema delle riproducibilità dell’arte, lo stesso problema sottolineato da Froglia si fa sempre più vero e complesso. Allo stesso tempo il compito della critica si fa sempre più difficile e aumentano sempre di più di più le sue responsabilità. Nonostante la capacità di conoscere tutto, c’è anche la capacità di riprodurre.

Angelo Froglia. L’inganno dell’arte è uscito per Ramingo Produzioni. Per avere informazioni su dove vederlo, clicca qui o segui la pagina Facebook di Ramingo Produzioni.

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